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.All'avvicinarsi di Villefort, si staccò dal muro contro cui eraappoggiata, e venne a sbarrargli il cammino.Dantès aveva parlato della fidanzata al sostituto, e Mercedes nonebbe bisogno di nominarsi, per esser riconosciuta da Villefort.Egli fu sorpreso della bellezza di questa donna, ed allorché leigli domandò che cos'era avvenuto del suo innamorato, gli sembròd'esser lui l'accusato, e lei il giudice."L'uomo di cui mi parlate" disse bruscamente Villefort, "è un grancolpevole, io non posso far niente per lui."Mercedes si lasciò sfuggire un singulto, e siccome Villefortcercava di passare oltre, lo fermò una seconda volta.60"Ma almeno dov'è?" domandò la giovane, "che io possa informarmi seè vivo o morto.""Io non lo so, egli non mi appartiene più!" rispose Villefort.E imbarazzato da quello sguardo fisso e da quella attitudinesupplichevole, respinse Mercedes, ed entrò chiudendo forte laporta, come per lasciar fuori quel dolore che gli venivacagionato.Ma il dolore non si lascia respingere in tal modo: comela freccia mortale di cui parla Virgilio, l'uomo ferito lo portacon sé.Villefort rientrò, chiuse la porta, ma giunto nella salale gambe gli vennero meno, mandò un sospiro che sembrò unsingulto, e si lasciò cadere sopra un divano.Allora nel fondo di quel cuore malato nacque il primo germe diun'ulcera mortale: quest'uomo che egli sacrificava alla suaambizione, quest'innocente che scontava la pena di suo padrecolpevole, gli apparve pallido e minaccioso dando la mano alla suafidanzata, pallida anch'essa come lui, trascinando dietro irimorsi, non quelli che fanno vacillare il malato come le Furiedell'antica fatalità, ma quel tintinnio sordo e doloroso che incerti momenti colpisce diritto al cuore e lo lacera col ricordo diun'azione passata; lacerazione, i cui vivi dolori corrodono, male,che si approfondisce sempre più fino al giorno della morte.Alloraebbe nell'anima un momento di esitazione.Già parecchie volte lo aveva provato, e ciò senza altra emozioneche quella lotta tra il giudice e l'accusato.La pena di mortecontro gli imputati e la memoria di questi disgraziati,giustiziati dalla sua fulminante eloquenza, che aveva abbagliato igiudici o i giurati, non aveva neppure lasciato una nube sulla suafronte, perché gli imputati erano rei o tali almeno li credevaVillefort.Ma questa volta era ben altra cosa: la pena del carcereperpetuo era stata inflitta ad un innocente, che era sul punto diessere felice e del quale egli non solo distruggeva la pace maanche la felicità.Questa volta non era più un giudice, era un carnefice!Pensando a tutto ciò, sentì quel battito sordo, che abbiamodescritto, e che gli era sconosciuto fino allora, ripercuotersinel fondo del suo cuore e riempire il suo petto di vagheapprensioni.Così, per un violento soffrire istintivo, il ferito è avvertito dinon avvicinare mai, senza tremare, il dito alla sua ferita apertae grondante sangue, prima che questa ferita non sia cicatrizzata.Ma la ferita che aveva ricevuto Villefort era di quelle che non sichiudono mai, o se si chiudono, è solo per riaprirsi piùsanguinose e più dolorose di prima.Se in questo momento la dolcevoce di Renata avesse risuonato al suo orecchio per domandargligrazia, se la bella Mercedes fosse entrata e gli avesse detto: "Innome di quel Dio che ci guarda e che sarà nostro giudice,rendetemi il mio fidanzato!", sì, questa fronte per metà piegatasotto la necessità, si sarebbe piegata del tutto, e colle sue manighiacciate avrebbe senza dubbio, anche col rischio di tutto ciòche poteva avvenirgli, segnato l'ordine che fosse messo in libertàDantès.Ma nessuna voce mormorò nel silenzio, e la porta non siaprì che per dare adito ad un cameriere di Villefort, il qualeveniva ad annunziare che i cavalli di posta erano attaccati allacarrozza da viaggio.61Villefort si alzò o piuttosto balzò come un uomo che trionfa diun'interna lotta; corse al suo scrigno, versò nelle bische tuttol'oro che vi si trovava, girò un istante smarrito per la stanzacon la mano sulla fronte e articolando parole sconnesse; poifinalmente sentendo che il suo cameriere gli aveva posato sullespalle il mantello, uscì, si slanciò nella carrozza, e ordinò convoce sorda di passare per il Gran Corso e di fermarsi alla portadel Marchese di Saint-Méran.Villefort trovò la Marchesa e lafiglia nello studio.Vedendo Renata, il sostituto rabbrividì, perché ebbe timore che lagiovane gli domandasse un'altra volta la libertà di Dantès.Mapurtroppo, bisogna dirlo, la giovane non era preoccupata che dauna cosa: della partenza di Villefort.Lei amava Villefort;Villefort partiva nel momento che doveva divenire suo marito,Villefort non poteva dire quando sarebbe ritornato.Renata invecedi perorare per Dantès, malediceva l'uomo che per il suo delittola separava dal fidanzato.E Mercedes?Che doveva dunque dire Mercedes che aveva ritrovato Fernandoall'angolo della strada della Loggia dove l'aveva seguita? Erarientrata ai Catalani, e per il dolore, moribonda e disperata siera gettata sul suo letto.Fernando si era messo in ginocchio e stringendo la gelida mano diMercedes che non pensava a ritirarla, la copriva di ardenti baci,che Mercedes non sentiva.Ella passò la notte così; la lampada si spense quando non vi fupiù olio e lei non vide l'oscurità, come non aveva visto la luce.Il giorno ritornò senza che se ne accorgesse.Il dolore aveva posto innanzi agli occhi una benda che nonlasciava vedere che Edmondo."Ah, voi siete qui?" disse finalmente, voltandosi verso Fernando."Da ieri sera non vi ho più lasciata" disse Fernando con undoloroso sospiro.In quanto a Morrel non si era dato per vinto.Aveva saputo cheDantès dopo il primo interrogatorio era stato tradotto inprigione; allora corse da tutti i suoi amici.Si era presentato a tutte quelle persone di Marsiglia che potevanoavere qualche influenza sul procuratore
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